Era una limpida notte d’aprile una delle più belle dell’anno. I campi si increspavano come laghi argentati sotto la luce delle stelle. Černobyl’ dormiva, l’Ucraina dormiva. Gli addetti della centrale nucleare di Černobyl’, invece, erano svegli. Dovevano effettuare un test per stabilire l’autonomia energetica della centrale. La dottrina ufficiale sosteneva la totale e assoluta sicurezza dell’industria nucleare, dunque si poteva portare il reattore ai limiti minimi di sicurezza. Nulla poteva accadere e invece tutto accadde in pochi secondi.

La temperatura salì vertiginosamente è deformò gli alloggiamenti delle barre di raffreddamento che erano state sollevate. La reazione nucleare non poteva più essere controllata così come la pressione del vapore generato. La centrale divenne una pentola a pressione, e non ci volle molto perché il suo coperchio, una piastra di 2.700 tonnellate esplodesse. Quintali di cemento radioattivo e grafite incandescente si riversarono intorno alla centrale, altri elementi radioattivi liberati dalla reazione nucleare s’innalzarono verso il cielo formando una nube che in 10 giorni fece il giro del mondo rovesciando il suo carico tossico su molti paesi. La più colpita fu la Bielorussia dove gli elementi radioattivi più pesanti si depositarono al suolo creando quelle gravi conseguenze sulla salute della popolazione che ancora persistono.

Quella bella notte di aprile di trent’anni fa accadde qualche cosa che nessuno era preparato ad affrontare. La tecnologia applicata mostrava il suo lato debole. Più di cinquecentomila uomini furono chiamati da tutta la Russia nel tentativo di spegnere il reattore e bonificare l’area. Erano tutti ignari del grave pericolo che stavano correndo e i sistemi di protezione erano minimi. Molti di loro morirono nei giorni, nei mesi e negli anni che seguirono il disastro ma non è mai stata stabilita una stima esatta delle vittime. La versione ufficiale ne indica solo 27 poi portate a 57 e relative ad alcuni operatori, qualche militare, ma soprattutto i pompieri che arrivarono per primi e che senza alcuna protezione cercarono di spegnere quello che sono in apparenza era un normale incendio. In realtà furono migliaia i contaminati. Cinquantamila solo nella città di Pryp’jat’ che dista 3 km dalla centrale e che fu totalmente evacuata due gironi dopo l’incidente. Più di quindicimila a Černobyl’ distante 15 km dalla centrale e più di un milione a Kiev, la capitale, che ignara continuò la sua solita vita per giorni come se nulla fosse successo! La ricaduta di materiale radioattivo coinvolse molti paesi dell’Europa e del mondo ma non tutti gli abitanti furono avvertiti del pericolo. Così le conseguenze di quell’incidente restano ancora oggi un dato sottostimato, mentre per quanto riguarda le cause sono state pubblicate due tesi. La prima, contenuta nel rapporto pubblicato dalle autorità russe nell’agosto 1986, la responsabilità è stata interamente attribuita agli operatori dell’impianto, mentre in un secondo studio pubblicato nel 1991, si evidenzia il ruolo dei difetti di progettazione dell’impianto e delle barre di controllo. Ciò che non è scritto ma traspare chiaramente dalle analisi dell’incidente è la serie impressionante di errori e mancanze, che hanno coinvolto i tecnici e i dirigenti che lavoravano nella centrale quella notte ma anche la gestione economica e amministrativa della centrale ed il sistema politico ed economico di un intero paese. Ora sappiamo che per motivi militari gli operatori non erano a conoscenza delle caratteristiche tecniche del reattore, e che molti di essi non erano nemmeno qualificati per lavorare in una centrale nucleare. Sappiamo che le responsabilità furono molteplici ma anche che nessuno ha subito un processo per disastro ambientale o omicidio colposo. Černobyl’ resta dunque un monito, un esempio e un motivo di riflessione su quanto accade ancora oggi non solo nel nostro paese.

In tale prospettiva, a 30 anni esatti dal drammatico disastro nucleare,
Martedì 26 aprile 2016 alle ore 20.45
presso la Sala Falcone-Borsellino via Roma 44 di  Limena (PD)
la “Piccola Compagnia Teatro In-Stabile” di Limena presenta

NON C’É RITORNO – Per non dimenticare Černobyl’

 spettacolo teatrale promosso dai circoli LEGAMBIENTE della provincia di Padova
con il patrocinio del comune di Limena 

 

La “Piccola Compagnia Teatro In-stabile” in questo spettacolo teatrale vuole tornare in quel tempo e in quel luogo, per raccontare quanto è accaduto, attraverso la storia di tre fratelli implicati in vario modo nell’incidente. Tre voci interagiranno durante lo spettacolo per rappresentare il loro singolare punto di vista che in gran parte dipende dal ruolo che hanno avuto nel sistema della gestione del nucleare nella Russia del 1986. Tre sensibilità diverse si confronteranno in modo a volte aspro a volte singolare nel tentativo di dare una visione d’insieme su una storia che rappresenta un libro aperto sull’attualità e sul nostro futuro.

Durante la serata verranno raccolti fondi per sostenere il PROGETTO RUGIADA, una forma di adozione a distanza promossa da Legambiente rivolto ai bambini che vivono in zone ancora a rischio e che nel Centro della città di Vilejka, sulle rive di un lago e in un territorio non contaminato secondo un monitoraggio effettuato dall’Arpa Emilia Romagna, possono trascorre un periodo di 24 giorni di decontaminazione, socializzazione e controlli sanitari. Il centro offre sia un supporto di tipo medico che pedagogico, essenziale in aree dove questi tipi di servizi restano tutt’oggi concentrati nei grandi centri urbani, a scapito di chi vive nelle campagne. Un progetto sostenuto anche dalla rete dei Circoli Legambiente e dal 2014 anche dalla Chiesa Valdese (attraverso un progetto dell’8 per mille) che va oltre il mese di accoglienza e che mira a rapporti continuativi non solo con la struttura che si occupa del centro ma anche con le autorità locali, le scuole, le strutture sanitarie. Il Progetto Rugiada è il proseguimento dell’esperienza del “Progetto Černobyl’ di Legambiente che in 13 anni di attività rivolta alle popolazioni colpite dal fall out radioattivo ha portato ad accogliere in Italia oltre 25.000 bambini, un centinaio di questi anche a Limena e comuni limitrofi.

non c'è ritorno limena